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Pasquale Andria: magistrati senza autonomia e specializzazione nel progetto che riforma la giustizia minorile (21.5.03)

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Questo articolo del Presidente dell'AIMMF è stato pubblicato sul n. 10 del 18 maggio 2003 della rivista "Guida al diritto"

Il disegno di riforma proposto poco più di un anno fa, e recentemente oggetto di emendamenti, ad opera del Governo, liquida, senza alcuna espressa motivazione, uno dei sistemi di giustizia minorile fra i più avanzati, che ha dato negli anni ottima prova.Il tentativo, confuso e farraginoso, non sostenuto da alcuna seria elaborazione culturale, è di sostituire a questo un modello di fatto impraticabile e che – se mai dovesse realizzarsi – determinerebbe la sostanziale abrogazione della giustizia minorile.

Invero, da tempo si segnalano alcuni problemi che reclamano una soluzione. Due in particolare: uno – di natura ordinamentale – relativo alla dannosa frammentazione delle competenze in materia minorile e della famiglia; l’altro, assolutamente improcrastinabile, relativo al necessario adeguamento del processo civile minorile ai principi del giusto processo, da tempo propugnato dai giudici minorili non meno che dagli avvocati.

E’ appena il caso di sottolineare come tale esigenza – contrariamente a quanto sem-bra ritenersi da qualche parte - non è affatto incompatibile con quella, altrettanto essenziale, di una effettiva specializzazione. Sotto tali profili, comunque, la riforma prospettata rappresenta un’occasione mancata, fallendo clamorosamente entrambi gli obiettivi. Essa prevede la istituzione di sezioni cosiddette specializzate presso tutti i tribunali ordinari aventi sede in capoluoghi di provincia, che, in conseguenza degli emendamenti approvati dal Consiglio dei Ministri il 7 marzo scorso, dovrebbero assorbire le competenze attualmente devolute ai tribunali per i minorenni – in materia civile e penale – oltre quelle già esercitate, nell’ambito del diritto delle persone e della famiglia, dal giudice ordinario.

L’apparente – e in sé lodevole – razionalizzazione del sistema, anche in chiave di condivisibile perseguimento di un modello di giustizia di prossimità, è però frustrata in par-tenza da due limiti “strutturali” di fondo:

1) la mancanza di autonomia funzionale ed organizzativa (realizzabile solo in un nuovo organo di giustizia quale il tribunale della persona e della famiglia) che avrebbe un’incidenza immancabile sul piano della qualità della giurisdizione: non poter disporre di au-tonome risorse di mezzi e di personale non è infatti irrilevante ai fini di tale qualità e di una tempestiva efficienza degli interventi. E’ innegabile che i tribunali per i minorenni – anche da questo punto di vista - hanno funzionato bene, soprattutto da quando – a partire dai primi anni settanta – hanno goduto di tale autonomia.

2)La configurazione delle istituende sezioni (il che è ancora più negativamente rilevan-te) quali sezioni a competenza promiscua, non dotate di un proprio organico, ma composte “tabellar-mente” mediante “assegnazione” di per sé estremamente variabile e precaria. Ne scaturisce che, in una materia in cui è assolutamente irrinunciabile una reale specializzazione, di fatto tale requisito dell’organo giudicante sarebbe solo formale, anzi nemmeno più tale dal momento che alla sezione possono essere assegnati – in base a opinabili esigenze di servizio e scelte di priorità giudiziarie - affari estranei alla materia minorile e familiare.

La situazione è aggravata dalla circostanza che – dai collegi giudicanti civili – scomparirebbero i giudici onorari, “preservati” solo nei collegi penali senza che peraltro nessuno abbia ancora spiegato (meno che mai la relazione al disegno di legge) la ragione di tale diversa composizione. Sembrerebbe di capire che l’espulsione degli onorari risponda all’esigenza di accentuare la natura giurisdizionale degli inter-venti, depurandoli da una pretesa valenza socio-assistenziale. Se questo è (ma allora perché non anche in penale?), nulla di più sbagliato.

Sul punto appare illuminante quanto osservato nella relazione tecnica allegata al parere sul disegno del Governo espresso dalla Commissione bicamerale per l’Infanzia il 17 dicembre scorso con un giudizio severamente critico, formulato all’unanimità: “Poiché è inevitabile che saperi extragiuridici condizionino la decisione del giudice dei minori e della famiglia, vi è da chiedersi se l’obiettivo di maggiore giurisdizionalizzazione sia assicurato da un giudice togato “spurio” un po’ giurista, un po’ psicologo e un po’ assistente sociale, oppure mantenendo nell’organo giudicante distinti i contributi dei diversi saperi rispetto al sapere giuridico. Si ritiene al riguardo che la presenza di esperti nel collegio consenta al giudice togato, in materia fortemente (e inevitabilmente) condizionato da altri saperi, di meglio rivendicare, in un confronto dialettico, le ragioni del diritto e svolgere appieno il suo ruolo”.

Peraltro, se c’è un’utilizzazione discutibile dei giudici onorari, essa riguarda proprio l’attività istruttoria dove inopinatamente, invece, secondo il progetto di riforma, sopravvivono in un ruolo piuttosto ibrido, ambiguamente sospesi fra la figura del consulente e quella del giudice.

Ancor più evidente è la totale mancanza del requisito della specializzazione con riguardo alla funzione del pubblico ministero: le conseguenze di ciò sarebbero rilevantissime, considerato il restringimento dell’area dell’iniziativa officiosa in materia civile e la necessità sempre più ampia dell’impulso del p.m., possibile in concreto solo sul presupposto di una effettiva specializzazione.

Quanto all’altro nodo fondamentale, quello della riforma processuale, il testo governativo, dopo aver riservato una serie di disposizioni ai procedimenti di separazione e divorzio (in modo discutibile e in una sede impropria) liquida il complesso problema del processo civile minorile mediante l’enunciazione di generici e telegrafici criteri direttivi a presidio della delega concessa al Governo, che diviene così, di fatto, sostanzialmente, una inammissibile delega in bianco.

Si ha l’impressione che, sopprimendo la componente “onoraria”, inglobando la giustizia minorile nel civile ordinario - peraltro senza esclusività di funzioni e ad organico invariato – si intenda lasciare l’intera materia priva di una tutela reale e ipotizzarne una puramente formale. Il giudice sarà collocato non in una terzietà attiva e “sollecitatoria”, così come la natura pubblicistica e superindividuale dell’interesse del minore esigerebbe, ma asettica e “arbitrale”, in un processo che può immaginarsi af-fidato alla disponibilità delle parti, così risolvendosi semplicisticamente le irrinunciabili esigenze del contraddittorio nel modello “esclusivo” del contenzioso ordinario.

Il risultato sarà che soprattutto gli interventi sulla potestà genitoriale – non solo quelli ablativi, ma particolarmente quelli limitativi e prescrittivi che – di fatto – costituiscono la gran parte degli interventi del tribunale per i minorenni e che si protraggono nel tempo, chiedendo continui adattamenti ed aggiustamenti, scompariranno del tutto e la tutela sarà esaurita in provvedimenti “puntuali”, “definitori”, e perciò puramente formali.

Un processo così fatto, in cui si rinuncia in partenza a coniugare i principi della terzietà e della imparzialità del giudice e del contraddittorio fra le parti in condizioni di parità con una necessaria flessibilità e tempestività, esigite dalla particolare natura degli interessi, è destinato inevitabilmente a ripiegarsi sull’accertamento di una verità processuale, che non sempre coincide con la verità reale, e quindi a realizzare una tutela solo formale, ma sostanzialmente inefficace e ininfluente rispetto alle situazioni di sofferenza e di violazione dei diritti dei minori.

E’ evidente che anche il concreto rigoroso accertamento dell’abbandono, come situazione irreversibile – accertamento preceduto, per come richiesto dalla legge, dall’attivazione dei servizi in favore della famiglia di origine – verrà reso di fatto impraticabile sicché si andrà verso una desuetudine dell’adozione, salvo i casi di abbandono conclamato.

Tutto questo non è un di più di giurisdizione; al contrario, prelude a una sostanziale degiurisdizionalizzazione: ma un deficit di giurisdizione, mai come in questo caso, comporta una sostanziale negazione dei diritti e uno spazio abnorme riconosciuto – coestensivamente – alle posizioni dei soggetti forti, sicché – di fatto – dai diritti dei minori, approdo di una lunga evoluzione culturale, si torna ai diritti sui minori!

L’area degli interventi penali è poi tutta caratterizzata da una marcata connotazione in chiave riduttivamente repressiva, soprattutto con l’inasprimento del regime delle misure cautelari e delle pene per gli ultrasedicenni nonché con la irragionevole esclusione della messa alla prova in relazione ad alcuni titoli di reati, così determinandosi un sostanziale svuotamento del potenziale fortemente innovativo del processo minorile introdotto nell’89, che ha dato ottimi risultati avendo di certo contribuito alla riduzione dei reati commessi da minorenni.

Queste ed altre gravi carenze ed aporìe (si pensi alla svalutazione dei servizi sociali territoriali) rendono il testo governativo assolutamente inaccettabile. È significativo che esso incontri non solo l’opposizione degli addetti ai lavori ma anche di vasti settori del mondo della cultura e dell’opinione pubblica, almeno di quella non attraversata dalla paura dei bambini e dei ragazzi, che – a guardar bene - la riforma, così come prospettata, tende a ricacciare in una irriducibile marginalità per fare spazio esclusivo alle insicurezze e alle onnipotenze degli adulti.

Pasquale Andria