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I bambini hanno diritto alla vita ed al gioco, non alla guerra e alle bombe (12.2.03)

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Mentre incombe, sullo scenario internazionale, lo spettro minaccioso di una nuova terribile guerra, l’Associazione Italiana Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia avverte il dovere di esprimere la propria preoccupazione per l’inevitabile ulteriore coinvolgimento di bambini e di ragazzi nel conflitto.

Secondo i dati UNICEF, su circa cinquanta conflitti armati attualmente in corso in varie regioni del mondo, in almeno trenta sono impegnati minori nelle operazioni militari e si calcola in 300.000 mila il numero di soldati infradiciottenni. Per quanto la maggior parte di loro abbia fra i 15 e i 18 anni, molti sono reclutati sin dai 10 anni ed è documentata la tendenza ad inserire negli eserciti ragazzi di età sempre inferiore.

Peraltro, mentre all’inizio del secolo i civili rappresentavano il cinque per cento delle vittime della guerra, oggi si aggira intorno al 90% e la massima parte è formata da bambini.

Si ritiene che circa due milioni sono i bambini uccisi nel corso di guerre dal 1985 al 1999 e 6 milioni hanno subito ferite e mutilazioni.

Decine di milioni inoltre hanno riportato gravi traumi psichici a causa dei conflitti armati e venti milioni sono stati costretti ad abbandonare le loro case e a vivere in campi profughi.

I trattati internazionali stabiliscono che è vietato far accedere i minori di diciotto anni a lavori pericolosi; tuttavia più di cinquanta paesi anche europei, e tra essi l’Italia, permettono l’arruolamento di soldati volontari e sottufficiali a 17 anni, reclutando minori di 18 anni nelle Forze Armate con coscrizione obbligatoria o adesione volontaria.

Significativamente, la “Dichiarazione sulla Protezione delle donne e dei bambini nelle emergenze e nei conflitti armati” del 1974 si apriva con l’affermazione di “profonda preoccupazione per la sofferenza delle donne e dei bambini, appartenenti alla popolazione civile, in periodo di conflitti armati…..troppo spesso vittime di atti inumani”.

Invero la “Convenzione sui diritti dell’infanzia” del 1989, che pure viene considerata ed è la Carta internazionale fondamentale per il riconoscimento dei diritti dei minori, sul tema specifico non è stata fondante di nuove e più incisive e corrette affermazioni.

Essa, all’art. 38, prevede che gli Stati parti debbono adottare ogni misura possibile per vigilare che le persone, che non hanno raggiunto i quindici anni, non partecipino direttamente alle ostilità e astenersi dall’arruolare nelle loro forze armate i minori di tale età. Durante la stesura dei lavori molte delegazioni, tra le quali quella italiana, richiesero invano che l’età minima fosse fissata a diciotto anni, in primo luogo perché l’art. 1 della stessa Convenzione proclama che deve intendersi per “child” ogni essere umano avente un’età inferiore ai diciotto anni ed anche perchè il limite di quindici anni è in palese contrasto con tutto lo spirito della Carta che stabilisce sempre la tutela del minore sino a diciotto anni.

In tale situazione emerge univocamente, che in qualunque conflitto, sia esso nucleare, civile, o del c.d. “ripristino del diritto internazionale“ la guerra è sempre più una violenza totale e generalizzata ove i bambini sono i più esposti e i più colpiti, veri capri espiatori, attualizzando la biblica “strage degli innocenti”.

Se molti sono gli impegni assunti pubblicamente e solennemente dalla comunità internazionale, sempre più risalta la contraddizione tra tali impegni e le condotte concrete, soprattutto nella prospettiva dei paventati avvenimenti che minacciano particolarmente i più deboli: fra questi i bambini, che hanno diritto alla vita e al gioco, non alla morte e alle bombe.